Roma, 7 mag (Velino) - Gli errori commessi dagli operai non cancellano la colpa dell’azienda per gli infortuni sul lavoro. Con una importante sentenza che richiama le imprese alle proprie responsabilità sul fronte della sicurezza e del rispetto delle norme anti infortuni, la Cassazione fornisce inoltre un’interpretazione che estende gli obblighi del datore di lavoro anche nei confronti dei lavoratori autonomi. L’occasione per intervenire sul tema della morti bianche è offerta alla Suprema Corte dal processo per la morte di un operaio, precipitato nel gennaio 2001 da un lucernario dello stabilimento di un’azienda di Retorbido, nell’Oltrepò pavese. Il giovane lavoratore cadde mentre si trovava sul tetto per ripulire le grondaie, ma il contratto di lavoro autonomo che lo legava all’impresa Valdata si riferiva soltanto alla manutenzione degli impianti meccanici. Per questo motivo sia il direttore dello stabilimento, sia il legale rappresentante della società hanno presentato ricorso in Cassazione contro le sentenze, prima del tribunale di Voghera e poi della Corte d’appello di Milano, che avevano condannato il dirigente per omicidio colposo e l’azienda al risarcimento del danno in favore dei genitori della vittima.
In particolare, la difesa sosteneva che i giudici di merito avrebbero sbagliato a considerare l’azienda responsabile delle misure di sicurezza che, invece, nel caso del lavoratore autonomo avrebbero dovuto essere adottate dallo stesso operaio. Inoltre, il lavoro di pulizia sul tetto, che ha causato l’incidente, non rientrava nelle mansioni del lavoratore, il cui contratto si riferiva soltanto alle riparazioni meccaniche. “Obiezioni” che i giudici della quarta sezione penale, con la sentenza 18998, hanno bocciato senza mezzi termini. Sottolineando anzitutto che, come emerso dalle testimonianze, l’operaio era solito trattenersi oltre l’orario stabilito per “arrotondare” i propri guadagni con “qualche lavoretto extra”. Inoltre, sottolinea la Corte, è stato accertato che “i responsabili delle sicurezza dello stabilimento non avevano predisposto sottopalchi di protezione o elementi di rinforzo dei lucernari al fine di evitare cadute dall’alto”. Ed è proprio a questo proposito che la Cassazione ribadisce la responsabilità che grava sul datore di lavoro indipendentemente dal comportamento del lavoratore e dalla sua qualifica di impiegato a tempo pieno o autonomo. In pratica, il datore di lavoro non può sostenere la propria innocenza “assumendo – scrive la Cassazione – che il sinistro si sia verificato solo perché vi sarebbe stata, da parte della vittima, l’anomala iniziativa di gironzolare sul tetto in corrispondenza di pericolosi lucernari”.
“Chi è responsabile della sicurezza del lavoro – proseguono i giudici – deve avere la sensibilità di rendersi interprete del comportamento altrui”. In sostanza la Corte ribadisce che “la normativa anti infortunistica mira a salvaguardare l’incolumità del lavoratore non solo dai rischi derivanti da incidenti o fatalità, ma anche da quelli che possono scaturire dalle sue stesse disattenzioni, imprudenze o disubbidienze alle istruzioni raccomandate”. Insomma, il datore di lavoro deve rispettare rigorosamente le norme anti infortuni e le eventuali distrazioni degli operai non possono in nessun caso diventare un alibi.
In particolare, la difesa sosteneva che i giudici di merito avrebbero sbagliato a considerare l’azienda responsabile delle misure di sicurezza che, invece, nel caso del lavoratore autonomo avrebbero dovuto essere adottate dallo stesso operaio. Inoltre, il lavoro di pulizia sul tetto, che ha causato l’incidente, non rientrava nelle mansioni del lavoratore, il cui contratto si riferiva soltanto alle riparazioni meccaniche. “Obiezioni” che i giudici della quarta sezione penale, con la sentenza 18998, hanno bocciato senza mezzi termini. Sottolineando anzitutto che, come emerso dalle testimonianze, l’operaio era solito trattenersi oltre l’orario stabilito per “arrotondare” i propri guadagni con “qualche lavoretto extra”. Inoltre, sottolinea la Corte, è stato accertato che “i responsabili delle sicurezza dello stabilimento non avevano predisposto sottopalchi di protezione o elementi di rinforzo dei lucernari al fine di evitare cadute dall’alto”. Ed è proprio a questo proposito che la Cassazione ribadisce la responsabilità che grava sul datore di lavoro indipendentemente dal comportamento del lavoratore e dalla sua qualifica di impiegato a tempo pieno o autonomo. In pratica, il datore di lavoro non può sostenere la propria innocenza “assumendo – scrive la Cassazione – che il sinistro si sia verificato solo perché vi sarebbe stata, da parte della vittima, l’anomala iniziativa di gironzolare sul tetto in corrispondenza di pericolosi lucernari”.
“Chi è responsabile della sicurezza del lavoro – proseguono i giudici – deve avere la sensibilità di rendersi interprete del comportamento altrui”. In sostanza la Corte ribadisce che “la normativa anti infortunistica mira a salvaguardare l’incolumità del lavoratore non solo dai rischi derivanti da incidenti o fatalità, ma anche da quelli che possono scaturire dalle sue stesse disattenzioni, imprudenze o disubbidienze alle istruzioni raccomandate”. Insomma, il datore di lavoro deve rispettare rigorosamente le norme anti infortuni e le eventuali distrazioni degli operai non possono in nessun caso diventare un alibi.
(ror) 7 mag 2009 14:30 - il Velino.it
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